L'imprenditore Sergio Schiavoni: «Trovammo il metano, gran festa con Mattei»

L'imprenditore Sergio Schiavoni: «Trovammo il metano, gran festa con Mattei»
L'imprenditore Sergio Schiavoni: «Trovammo il metano, gran festa con Mattei»
di Lucilla Niccolini
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Domenica 5 Maggio 2024, 05:00 - Ultimo aggiornamento: 13:33

“La corrente si adatta”. I collaboratori di Sergio Schiavoni non ricordano quante volte gliel'hanno sentito dire. E sanno benissimo che cosa intende: sperimentare, osare, così poi le cose avvengono. Sergio ha sperimentato sulla pelle che la corrente può travolgerti, ma anche che, se sai come gestirla, asseconda le tue aspirazioni. Come quelle di un ragazzo innamorato dell'elettricità. «Mio padre Lino, un tappezziere raffinato, che negli anni del boom ha allestito tende e divani per tutta l'Ancona-bene, mi ha sempre sconsigliato di seguire le sue orme. Di polvere, usava ripetere, ne aveva respirata abbastanza, lui. Voleva che io studiassi».

La scintilla

Sergio, nato nel '39, la sua strada l'ha imboccata da bambino. «Quando tornammo nell'appartamento di Campo della Mostra da San Severino, dove i miei erano sfollati, trovai, a casa di mio nonno, che abitava dirimpetto a noi, una scatola di Meccano. Ne fui affascinato». Sergio si mette a costruire gli oggetti più disparati. «Per farli muovere autonomamente, avevo capito, piccolo com'ero, che serviva l'elettricità. Chiesi a un vicino, una di quelle persone che sapevano fare di tutto, di insegnarmi a collegare i fili di rame per ottenere la “corrente”». Dopo l'avviamento e il triennio di Istituto Tecnico ad Ancona, s'iscrive al biennio di Elettrotecnica.

Il salto di qualità

«Al Montani di Fermo. Un altro mondo, una scuola super, con laboratori attrezzatissimi, dove mettevi in pratica tutte le regole. E capivi come funzionano le cose». In quel periodo, Enrico Mattei mandava ogni anno i suoi osservatori al Montani, a cercare giovani talenti. «Fui chiamato in presidenza, per rispondere ad alcune domande di due signori in giacca e cravatta, che non si qualificarono». E dopo il diploma, Sergio ricevette dall'Eni l'invito per un colloquio. «Però ero già stato assunto a Milano, alla Pirelli, nell'ufficio Tempi e Metodi, a non so più quale piano del grattacielo, dove si programmava il lavoro degli operai. Mi emozionai quando Francesco Pirelli, mio coetaneo e collega, un giorno mi condusse al 32esimo piano, a guardare Milano dall'alto.

Ma la città mi intristiva, e quel lavoro non faceva per me. Dopo sei mesi, mi licenziai e tornai ad Ancona». Pensò che avrebbe comunque potuto fare il tappezziere, un mestiere che aveva imparato da ragazzo, a bottega dal padre, nei mesi estivi. «E avevo qualche idea in testa per ingrandire l'impresa paterna».

Invece, ad aspettarlo c'era la convocazione dell'Eni. «Lusingato, accettai. Mi assegnarono a una squadra che lavorava alle trivellazioni in pianura Padana, tra Bologna e Modena. Di quattro località, in due trovammo il metano. Per festeggiare, una volta venne Mattei in persona, che mi strinse la mano. Occupandomi dell'impianto elettrico e dei pezzi di ricambio, con strumenti sofisticati che venivano dall'estero, imparai moltissimo». Ma quando gli propongono di partire per l'Iran, dove l'Eni aveva firmato un contratto con lo scià, Sergio chiede consiglio al capo-sonda, un genovese di buon senso, che sarà decisivo: dà le dimissioni e torna a casa. «A malincuore. Però fui subito assunto da Mariotti&Patarca, commercianti all'ingrosso di materiale elettrico, con un laboratorio di impiantistica. Una follia: 45mila lire di stipendio mensile, poco più di un terzo di quello che prendevo all'Eni». Ma è pratico, dinamico, ci sa fare con la gente. Ben presto prende in mano la ditta, e nel '65 può permettersi di sposare Gabriella, l'amore di sempre. Nel giro di cinque anni nascono i suoi quattro figli.

«E quando acquistammo questo appartamento al Viale, dal sindaco Angelini, alle finestre c'erano ancora le tende che aveva cucito mia madre Deotralia, per tutti Orietta, che aiutava papà con le sue mani d'oro». Già, perché nel frattempo, la sua “corrente” si è adattata. «Provando e riprovando, in laboratorio, riuscii a realizzare un paletto acciaio-rame per la messa a terra, più efficiente di quelli che importavamo dagli Usa, ed economicamente competitivo. In società con un amico, Dante Bomprezzi, lo proposi all'Enel: il primo ordine fu di 25mila pezzi». Sotto le mani di Sergio Schiavoni, la corrente di elettroni che travolge diventa spinta vitale.

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