Figli che vanno all’estero ma chi è il vero sconfitto?

Figli che vanno all’estero ma chi è il vero sconfitto?

di Edoardo Danieli
4 Minuti di Lettura
Martedì 7 Maggio 2024, 04:40

Che cosa pensa un Babbo quando il Figlio di 27 anni gli dice: «Vado all’estero a lavorare»? È una fattispecie che diventa sempre più frequente anche alle nostre latitudini a sentire le conversazioni dei boomers che si incanutiscono mettendo a confronto il mondo che avevano sognato e pensato di poter realizzare e quello che la realtà propone invece ogni giorno. Personaggi e interpreti, dunque, di questo dialogo fittizio ma non troppo, sono Babbo e Figlio. Il giovane ha 27 anni, ha preso una laurea triennale e frequentato con profitto un master di secondo livello.

È stato assunto, a tempo indeterminato, in un’azienda milanese con un contratto di apprendistato che, dopo un paio di scatti, gli permette uno stipendio che si aggira intorno ai 1.500 euro al mese. Una cifra che a Milano consente appena di pagare l’affitto, l’abbonamento alla metropolitana e di mangiare, visto che accorgimenti criminali non sono ammessi (Figlio è bravo). Per tutto il resto c’è Babbo. Da qui la domanda di Figlio: «Ma perché non posso essere ancora autosufficiente e anche per fare un weekend devo chiedere i soldi a casa?». L’interrogativo si stempera in un sentimento misto di rabbia e rammarico con una spruzzata di rancore. D’altronde è cresciuto con un Babbo che gli ha sempre ripetuto che una buona formazione sarebbe stata il miglior viatico per costruirsi una vita ricca di soddisfazioni, non soltanto economiche - il tempo delle vacche grasse è comunque passato - quanto personali. Invece, niente.

Lavoro, metro, casa e poco più: qualche localino di quartiere, tanto gentile e tanto onesto nei prezzi il sabato sera, poi la meraviglia della grande città svanisce. Non per incomunicabilità, quanto per inaccessibilità. Due le opzioni: tornare a casa, nelle Marche, oppure andare all’estero. Per lo stesso lavoro, allo stesso livello, in un’azienda del medesimo profilo, con sede ad Anversa lo stipendio si aggira sui 2400 euro più una serie di benefit legati alla sistemazione e ai trasporti. Un po’ di più si guadagna a Berlino, un po’ di meno a Barcellona dove ci sono però significative differenze alle voci uscite, dal momento che la Germania è più cara della Spagna.

L’inconveniente? Allontanarsi, probabilmente per sempre, dalla propria famiglia e dalla propria terra che, sebbene ingrata, è comunque cara, qui non nel senso economico.

Il ritorno a casa, specie nelle Marche, invece corrisponde alla necessità di una riqualificazione: il settore di occupazione specializzato, infatti, non presenta nel nostro territorio richieste di figure professionali qualificate a fronte però di condizioni di vita migliori determinate non solo dalla qualità della vita che qui si respira ma anche da un costo (con alcune vistose eccezioni) tutto sommato accessibile. Dunque, o sacrificare il lavoro, vanificando di fatto la propria vocazione e l’investimento per la formazione, o andarsene in un altro Paese? Una dicotomia che segna un fallimento.

Non certo del Figlio, bensì del Babbo, per tornare alla domanda iniziale. Babbo in senso lato, ovviamente, non è certo un caso isolato, però è un dato di fatto: sono residuali, legate al censo e al ruolo della famiglia di origine, le possibilità per un giovane di creare un nuovo miracolo economico nel nostro Paese. Non è un problema di Marche, dove peraltro la marginalità è un altro fattore che incide negativamente, ma di un sistema che si è accartocciato in un’insana lotta generazionale che non lascia intravvedere spiragli di cambiamento.

Stipendi più alti? Difficile pensarlo in un momento in cui all’orizzonte fa capolino una nuova stagione di austerity. Meno tasse? Ma i servizi pubblici, basta vedere cosa sta accadendo nella sanità, sono già ridotti all’osso. E così via, ogni soluzione non fa altro che riproporre e acuire il problema. Babbo ha contribuito a costruire la tempesta perfetta e ora si chiede attonito dove abbia sbagliato e come possa contribuire a cambiare lo stato di cose. Ha un’unica certezza: sarà Figlio e con lui tutti i suoi coetanei e coetenee a rispondere. Che vada all’estero o che torni qui, non ci sono dubbi: solo cambiando gli attori potrà cambiare il copione. Buon viaggio, Figlio.

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