Pizza al formaggio, crescia brusca o ciaccia:
la Pasqua delle Marche è un trionfo di sapori
I consigli e le ricette per coccolarsi a tavola

Lunedì 25 Marzo 2024, 17:48 - Ultimo aggiornamento: 17:57 | 3 Minuti di Lettura
Pizza al formaggio, crescia o ciaccia: Pasqua nelle Marche è un trionfo di sapori tipici I consigli e le ricette per coccolarsi a tavola

Il lato salato della Pasqua

Nel Pesarese, la chiamano “crescia brusca”; nell’Ascolano, “crescia di Pasqua”. Ma ha anche altri nomi come “ciaccia”, “torta” o “pizza al formaggio”. È quel lato salato della Pasqua non solo delle Marche ma del cuore dell’Italia. Lì dove gli Appennini fanno da cerniere e le tradizioni tengono insieme lembi di Toscana, dell’Abruzzo, del Lazio e tutta l’Umbria, regione che ha registrata questo pane al formaggio come Prodotto Agroalimentare del Territorio (Pat) presso il Ministero delle Politiche Agricole. Un gran lievitato, la “Pizza di Pasqua” che non s’improvvisa. Anzi, chiede scienza, conoscenza ed esperienza.

L’impasto

L'impasto deve essere lavorato molto a lungo per formare la maglia glutinica e favorire la lievitazione che deve essere doppia per regalare leggerezza. Una delizia del folklore che vanta un prestigioso curriculum letterario. È citata nelle Tavole Eugubine del III-II sec a.C, testo rituale in lingua umbra, etrusca e latina e pure da Catone nel suo trattato “De Agri Cultura” dove la “torta” si veste d’alloro. La ricetta dell’Antica Roma è anche molto semplice: tagliare 300 gr di formaggio, pestarlo nel mortaio e impastare bene con 150 gr di farina e mezzo uovo. Dare all’impasto una forma circolare. Ricoprire la teglia di foglie di alloro e posizionare sopra il libum (focaccia). Mettere il testum (coperchio contenente la brace) sopra la teglia, con carboni caldi sopra e sotto. Cuocere per 20-30 minuti fino a fare dorare. Originale con il camino ma funziona bene con un forno ventilato. Antica ricetta che tuttavia non sviluppa tutta la bontà delle attuali lavorazioni artigianali. Paola Testaguzza con il marito Sandro Argentati guida il "Forno del Borgo" a Sassoferrato. Non svela la sua ricetta ma confessa che è il frutto di anni di esperienza. «Il concetto di fare questi grandi lievitati come le facevano una volta le nonne – osserva - non significa che il prodotto venga necessariamente buono. La pasticceria progredisce ed è importante recepire le nuove evoluzioni, i nuovi insegnamenti in particolare per il lievito madre che dà l’umidità e consente alla pizza di rimanere fragrante ma va adattato al proprio laboratorio e adeguato alla massa». (Pagina Fb “Forno del borgo”). Marco Filipponi, chef titolare con Matteo Campolucci della storica “Osteria Forno Ercole” a Jesi, la crescia al formaggio la propone tutto l’anno.

Il format mignon

In un format mignon ma con una sorpresa. «Inserisco due pezzetti di taleggio - spiega - che danno un gusto intenso ma diverso. Fonde, regala intensità all’impasto e spezza quel tocco aggressivo del formaggio pecorino». Formato in una scuola di cucina francese, a lungo chef in un ristorante di Barcellona, Filipponi porta estro nella cucina jesina e usa la pizza al formaggio per esaltare salumi originali. Come quelli ottenuti dal maiale di razza Mangalica, il kobe dei suini, il maiale avvolto in una pelliccia lanosa. (www.osteriafornoercole.it) «La bontà della Pizza di Pasqua, nome da non collegare con la pizza di Napoli ma al termine latino medievale di focaccia – conclude Francesco Civerchia, docente di pasticceria all’Istituto Alberghiero “Varnelli” di Cingoli – nasce dall’equilibrio tra gli ingredienti. Il sapore piccante regalato dal pepe, dai vari formaggi non deve imporsi e sapiente deve essere il dosaggio dei vari formaggi».

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