Primo Tacchetti, ex segretario Coldiretti: «Quei primi Sanremo insieme davanti alla tv»

Primo Tacchetti, ex segretario Coldiretti: «Quei primi Sanremo insieme davanti alla tv»
Primo Tacchetti, ex segretario Coldiretti: «Quei primi Sanremo insieme davanti alla tv»
di Valentina Berdozzi
4 Minuti di Lettura
Domenica 5 Maggio 2024, 05:00

La voce poche volte mente, tra i saliscendi dei toni e le note che raggiunge. Difficilmente inganna e racconta cose che non sono; è sincera nel suo vibrare, brillante nell'accendersi guardando al futuro e spontanea nel commuoversi tornando indietro. Non tradisce la voce ed è tutta trasparente, persino quando un pizzico di emozione ne colora le sfumature anche solo a sfiorarlo, il vaso dei ricordi. Ad aprirlo quello scrigno di bei momenti e attimi passati, il timbro di Primo Tacchetti, neo nominato maestro del lavoro e trent'anni passati come segretario di zona della Coldiretti, si illumina con i colori pastello delle foto d'epoca e con i toni accesi di una passione intensa e viscerale per la terra, che è lavoro, che è impegno, che è soddisfazione: che è vita.

La campagna

È sempre stato così per lui, figlio della campagna e della periferia rurale di Fermo, dove è nato nel 1952 e in cui è cresciuto, tra legami potenti e vincoli strettissimi. Il primo e più forte è quello del suo nome: «Mi chiamo così in onore di un mio vicino di casa, che era un bimbo di una decina d'anni quando sono venuto al mondo io e già faceva la sua parte in campagna, dando una mano ai grandi di casa», spiega. Non poteva che trasformarsi in un bell'auspicio, quel nome così nato: «Gli anni della mia infanzia erano quelli in cui, finito l'impegno scolastico, si correva a casa e si dava una mano come si poteva - chiarisce - così ogni giorno, dopo le lezioni mattutine nella scuola elementare in campagna con la maestra Gemma, mi davo da fare e aiutavo mia madre e mio padre».

Il sostentamento

«All'epoca, il sostentamento della mia famiglia erano un pezzo di terra da coltivare e un piccolo allevamento di bovini: una risorsa preziosa per un bel nucleo di dieci persone, in cui ognuno faceva la sua parte, piccolo o grande che fosse. L'età anagrafica era solo un dettaglio: si andava tutti a lavorare nei campi e si cominciava prestissimo a respirarne l'aria, come ho fatto io, che in campo ci andavo da neonato nella cesta assieme a mia madre. L'agricoltura di quei tempi era un'attività fisica, del tutto manuale. Il lavoro dei campi era sudore, era rassegnazione e pazienza. Ma significava anche condivisione, allegria e compagnia, quando per i lavori più faticosi ci si riuniva tutti quanti e si chiamavano a raccolta anche i vicini, perché insieme il lavoro fisico diventava meno estenuante e, nella condivisione, le braccia doloranti e la schiena affaticata trovavano sollievo».

I ricordi

La voce di Primo si fa così allegra e si accalca, si espande, si fonde ai rumori gioiosi che affollano la memoria, ora che tornano a galla i ricordi «dei primi Sanremo visti insieme, a casa nostra, tutti seduti davanti alla tv.

I cantanti con le loro esibizioni, il vicinato tutto riunito davanti allo schermo condiviso, l'aria leggera e mamma Giovanna con le frittelle che preparava e offriva a tutti, perché non era festa se non c'era nulla da mangiare tutti insieme. E la musica era la stessa - sorride Primo continuando a ricordare - in occasione delle feste comandate o del capodanno, quando eravamo tutti ospiti di zio Luigi e si ricambiava la cortesia dell'invito a pranzo a casa nostra il giorno di Natale. Che piovesse, ci fosse il sole o la tempesta, le feste erano momenti sacri da passare insieme per forza, anche a costo di muoversi a piedi sotto la neve o costringere il padrone di casa a sgombrare la via a suon di colpi di pala». In un orizzonte di genuinità, la condivisione è sempre stata un dovere, un imperativo di unione e fratellanza. Un simbolo di attaccamento e amore, in un'infanzia in cui quello della famiglia è stato un valore pratico, tangibile: come la terra e i suoi frutti, concreto e saziante. È forte ora come lo era allora il vincolo con mamma Giovanna e babbo Giovanni. «Mamma e babbo sono state per me figure essenziali - sancisce Primo - nella memoria è vivo il ricordo di mamma, ottima cuoca e maestra insuperabile nella preparazione degli gnocchi, che chiamava suricitti, cuoceva ogni giovedì e condiva con quel sugo saporitissimo che bolliva per ore. È stata lei a insegnarmi il valore dell'onestà e della sincerità, come babbo Giovanni quello dell'impegno politico e della socialità. Appena diplomato, visti i brillanti risultati ottenuti, fui convocato a Torino dalla Marelli: mi offrirono un impiego prestigioso che stavo per accettare ma che all'ultimo, di fronte alle lacrime dei miei genitori, ho rifiutato. Non potevo allontanarmi da loro e dal mondo che avevano costruito».

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