Il professor Piero Alessandrini

Elezioni europee, un’occasione
di rilancio di cui nessuno parla

di Piero Alessandrini
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Sabato 4 Maggio 2024, 06:00

In vista delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, c’è un profondo squilibrio tra due realtà. La prima è la enorme gravità dei problemi che la Ue deve affrontare: le guerre ai propri confini, lo sconvolgimento dell’ordine geopolitico mondiale, la crisi climatica, le inarrestabili ondate migratorie, l’invecchiamento della popolazione. Problemi di portata epocale che mettono in evidenza i limiti di una Ue incapace di svolgere un ruolo attivo nella condivisione tra paesi membri e nello scenario mondiale. Ruolo attivo che tutti auspicano, ma che richiederebbe il compimento del processo di integrazione istituzionale, che si è fermato alla sola Unione monetaria, anch’essa incompiuta visto che unisce solo 20 degli attuali 27 paesi membri. La seconda realtà è lo scarso livello di discussione e consapevolezza del dibattito politico italiano sull’importanza di approfittare delle elezioni europee per aprire una nuova epoca di rilancio della Ue come stato federale unitario, in grado di porsi come terza forza stabilizzatrice dell’ordine economico mondiale. La distanza tra queste due realtà danneggia non solo la Ue, ma anche l’Italia e ogni altro paese membro. A fronte di giganti come Usa e Cina, ciascun paese europeo è piccolo e, da solo, è perdente nella competizione geopolitica globale. L’imperdonabile incongruenza è che ne siamo tutti consapevoli, ma non facciamo abbastanza per unire le nostre forze. Ne sono prova l’orientamento dei nostri partiti a strumentalizzare le elezioni europee come verifica dei rapporti di forza interni. Segno di miope provincialismo, che alimenta non solo l’astensionismo dal voto dei cittadini, ma la visione distorta della nostra appartenenza alla Ue. Sono in proposito significativi i dati dell’Eurobarometro 2024. Solo il 43% degli italiani giudica positiva l’appartenenza alla Ue, molto al di sotto della media europea del 63%. Migliora la nostra valutazione dei vantaggi, che sale al 57%, anche se ancora sotto il 72% della media europea. Se ne deduce un atteggiamento opportunistico, visto che apprezziamo più la UE dal lato dei vantaggi, soprattutto come fonte di finanziamenti (vedasi i fondi strutturali e da ultimo il Pnrr). L’altra faccia della medaglia che fa scendere il nostro gradimento sono i vincoli da rispettare per garantire l’ordinata convivenza nella comunità europea (vedasi il patto di stabilità), che ci piacciono meno. Non ci consola constatare che, come ha indicato Mario Draghi, due settimane fa nel suo discorso di presentazione del rapporto sul futuro della Ue, la sua attuale debolezza derivi da un generale scollamento strategico, non solo italiano.

Per superarlo, Draghi propone un radicale cambiamento e indica tre emergenze prioritarie e interdipendenti. La prima è la necessità di orientare gli investimenti non più su base nazionalistica, ma sfruttando la dimensione continentale offerta dalla Ue, per affrontare la competizione esterna con le grandi dimensioni degli Usa, sempre più protezionistici, e della Cina, che tende a internalizzare la catena del valore. Significa abbandonare la competizione interna tra paesi membri in nome di una velleitaria sovranità nazionale, oltretutto controproducente. Gli esempi sono le spese frammentate per la difesa, le telecomunicazioni, la sanità. La seconda emergenza è lo sviluppo di beni pubblici europei, con reti comuni di interconnessione energetica, digitale e finanziaria. In particolare, va accelerata l’unione del mercato dei capitali per valorizzare in chiave europea la risorsa dell’alto risparmio privato. La terza emergenza è garantire la disponibilità e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento di risorse essenziali (es. minerali, energia). Tra queste ha un ruolo strategico la formazione di lavoratori specializzati per sviluppare la manifattura nei settori tecnologici chiave e nella innovazione digitale. Per realizzare questo auspicato cambiamento radicale della Ue, Draghi rinnova la necessità di procedere non all’unanimità, ma per gruppi di paesi pronti a mettere in comune questa strategia di consolidamento innovativo della UE. Constatare che il monito e i suggerimenti di Draghi siano attualmente ignorati nel dibattito politico italiano per le elezioni europee conferma e semmai amplia lo squilibrio, al quale si è fatto cenno all’inizio, della nostra scarsa sensibilità rispetto ai gravi problemi che la Ue deve affrontare. Diviene concreto il timore che l’Italia rimarrebbe fuori dall’eventuale sottogruppo di paesi rompighiaccio per l’avanzamento della Ue nello scenario geopolitico mondiale. Con due conseguenze. Una concreta: il rischio crescente di emarginazione economica e politica. L’altra ideale: il distacco dagli slanci di paese in prima linea nel progetto di unione europea, a partire dal manifesto di Ventotene del 1941 e dal Trattato di Roma del 1957.

* Professore emerito di Politica Economica dell’Università Politecnica delle Marche

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